Eugenio Prosperetti ha sollevato in un suo post alcuni temi interessanti. Riprendo qui un paio dei miei commenti che avevo lì postato, per tenere viva l'attenzione sul tema: il monopolio in genere è cosa brutta, ma quando vi è di mezzo il pluralismo dell'innovazione e della comunicazione di massa è cosa pessima. L'IPTV sarà, forse, l'evoluzione della televisione che sostituirà progressivamente quella tradizionale. L'aumento dei gradi di libertà a disposizione dell'utente per l'autodeterminazione nella fruizione dei contenuti, e quelli a disposizione di chi confeziona programmi e servizi correlati che consentono di sviluppare nuovi format e differenziare meglio l'audience, spingerà utenza e produttori in questa direzione.
Il pericolo di monopolizzazione deriva dal percorso obbligato che i contenuti (ed i servizi correlati) fanno per arrivare al pubblico. La strada che percorrono è costituita da una serie di elementi tecnologici concatenati, se sono controllati da un unica entità, è questa a scegliere cosa puo', cosa non puo' e a che condizioni, arrivare al pubblico connesso a questa infrastruttura. Da qui la necessità di interrogarci su quali regole vadano applicate al nascente universo della IPTV, universo schizofrenico, somma di due mondi opposti, quello dell'estremo controllo e pianificazione (la tv broadcast tradizionale) e quello della massima libertà ed anarchia (internet), quello delle attività editoriali e relativa regolamentazione a difesa del pluralismo informativo e della tutela degli spettatori (TV), e quello della trasmissione dati (adsl et similia) e relative regole procompetitive a supporto della concorrenza tra operatori di rete.
Eugenio nel suo post si interrogava su quanto delle regole del mondo "editoriale" debba traslarsi sul mondo della IPTV e quanto delle regole del mondo TLC. Il dubbio è corretto. Prima della cosiddetta "convergenza" il mondo era (più) semplice. Nell'odierna era della convergenza la complessità è aumentata e di molto. E convergenza dev'essere, imho, anche e sopratutto nelle regole, non solo nella tecnologia. Convergenza nelle regole, nelle norme, significa accettare il fatto che il paradigma è cambiato, che il diaframma tra i due mondi è stato tolto, che regolamentare, oggi, richiede nuove competenze da parte dei legislatori e dei regolatori. Il giurista non basta più. Appena sufficiente il giurista-economista. Indispensabile invece il giurista-economista-ingegnere. Questo mondo ha per fondamenta la tecnologia, se non la capisci, se non la conosci, non sei in grado di coglierne le implicazioni prospettiche e nemmeno quelle quotidiane.
Uno degli interrogativi posti da Eugenio nel suo post riguardava l'equivalenza e l'ambivalenza dei "bit". Ovvero quanto questi dovessero essere osservati esclusivamente come "vettori neutrali di particelle informatiche arbitrarie" o come "elementi di un contenuto editoriale". Il quesito, anche se lo puo' sembrare, non è accademico. Una regolamentazione che propenda più da una parte che dall'altra (invece che considerare la fusione complessa delle due sponde) puo' determinare il mantenimento e/o il rafforzamento degli attuali mono/oligo-poli nel settore della TV e/o spostarlo in quello delle TLC.
Come iniziale contributo a questi interrogativi avevo postato:
ciao Eugenio,
queste tue considerazioni sono senz'altro un punto critico da (cercare di) mettere meglio a fuoco
>Alcuni tuttavia affermano che "i bit sono tutti uguali", questo è molto vero da un punto di vista astratto e tecnico.
>Non è vero da un punto di vista regolamentare.
>Sarebbe come dire, facendo un paragone con i trasporti, che "i veicoli che circolano sulle strade sono tutti uguali".
ed in particolare
>Certo, hanno tutti un motore e ruote ma ciò che trasportano (persone o merci, legalmente o illegalmente, per profitto o per svago) cambia molto le regole che ad essi si applicano.
corretto: le regole per i veicoli a motore tendono in generale a tutelare:
- l'incolumità delle persone/merci trasportate
- i perimetri competitivi
ma le strade non discriminano l'accesso di quel o quell'altro mezzo alla viabilità pubblica
chi gestisce le strade, cioè il nastro d'asfalto (comunali, provinciali, nazionali, autostradali) si può definire nella metafora tlc una "net-co"
chi gestisce un servizio basato su ruote (dhl, tassisti, nolleggiatori, ..), una server-co
(per approfondimenti sul perchè ed il percome delle net-co e delle server-co leggi Stefano Quintarelli)
se manteniamo distinti i ruoli allora è più facile affrontare il discorso. Se ragioniamo in modo verticalmente integrato la cosa si aggroviglia.
Le televisioni nella loro accezione tradizionale sono l'integrazione tra produzione/aggregazione di contenuti e l'infrastruttura di trasporto e distribuzione all'utenza.
Chiunque in passato si sia dilettato a metter su una radio o una tv privata se lo ricorda bene, l'operazione significava non solo allestire gli studi, le regie, gli speaker ed i dischi, ma anche acquisire e gestire antenne e trasmettitori. E quindi non solo competere con la qualità dei contenuti, ma anche con la capacità di illuminazione del territorio. Ovvero combattere a colpi di watt del trasmettitore (e sul numero dei ripetitori/frequenze, quindi watt aggregati). Cioè competere sull'accesso e sfruttamento della risorsa scarsa, l'etere, il gotomarket.
E per la tv oltre a tutto ciò, c'è (c'è stata, i giochi oramai son stati fatti) anche la competizione per una risorsa ancora più scarsa: i pulsanti del telecomando.
E' evidente che riuscire a regolamentare in modo equo e non discriminatorio una tale situazione è un'operazione pressocchè impossibile. Perchè l'integrazione verticale complica di per se le cose, e perchè la regolamentazione è intervenuta ex-post rispetto allo stratificarsi e cementificarsi dei problemi. Le radio e tv private sono nate in un momento di totale vacanza regolatoria, sia per gli aspetti tecnici (frequenze, potenze, licenze, ..) che antitrust (pubblicità, ..).
Ricordiamoci che più scarsa è una risorsa (scarsità naturale o artificiale), maggiore è la probabilità di oligopolio o peggio di monopolio.
La situazione sarebbe stata molto diversa se, già all'epoca si fosse potuto tecnicamente e previsto regolatoriamente, un'obbligo di separazione tra l'esercizio di una rete di trasporto (i ripetitori e le frequenze) e l'attività di editore radiotelevisivo, (e magari anche della raccolta pubblicitaria).
Osservo inoltre che la scala graduata delle frequenze dei vecchi ricevitori fm dove si doveva girare la manopola spostando l'indice per sintonizzarsi su un emittente, garantiva ovviamente un maggior pluralismo del telecomando, perhcè consentiva la sintonizzazione casuale su molte altre/nuove emittenti mentre si era alla ricerca di quella preferita. (sulla rete tale libertà è rappresentata dai motori di ricerca. I portali invece, come ad esempio "rosso alice" sono più simili ad un telecomando tv, pochi slot per i contenuti)
Allora, tutto ciò per dire che, forti dell'esperienza passata sulla tv tradizionale, per evitare la monopolizzazione tecnologica e/o editoriale dell'IPTV, è importante, sul piano regolamentare:
- obbligare l'obbligo di separazione societaria/proprietaria tra infrastrutture di gotomarket (reti wireless, reti cablate), prodotti editoriali e servizi over-the-net (l'iptv è interattiva, non solo contenuti ma anche servizi di vario genere)
- obbligo di interoperabilità sulla catena tecnologica (per evitare monopoli sui sistemi di fruizione e di immissione in rete dei contenuti e servizi)
- particolari attenzioni su garanzie di apertura ed interoperabilità delle EPG (per evitare fenomeni di "oligarchizzazione del telecomando").
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