RIporto qui il mio commento al post "Le performance dei partiti e l'impatto di Internet, all'indomani del voto" scritto da Stefano Quintarelli sul suo interessante e ricco blog, correggendo alcuni piccole errori lessicali che mi erano sfuggiti. Stefano lanciava la discussione proponendo l'ipotesi che probabilmente le prossime elezioni politiche saranno le ultime che si vinceranno con la TV, e le successive sicuramente si vinceranno attraverso Internet. Avevo replicato dicendo:
Credo anch'io che le elezioni entro dieci anni non si giocheranno più principalmente in tv. Osservo però come la tv abbia contribuito non poco al risultato di queste amministrative, così come al consenso ampio e generalizzato di cui gode l'attuale governo tecnico. La tv ha reso infatti ben evidente la differenza esistente tra i volti abituali della politica che per anni hanno riempito le serate televisive di insulti e slogan rispetto all'approccio orientato al problem solving che invece mostra il governo tecnico, così come il giornalismo d'inchiesta ha dimostrato ripetutamente quanto sia diffuso e pervasivo il malaffare e lo spreco. Il contributo televisivo alla voglia di cambiamento è confermato dai dati dei sondaggi che negli scorsi mesi hanno progressivamente mostrato una tendenza alla sfiducia nei cosiddetti partiti tradizionali, dove lo scarto rispetto allo storico risulta abbastanza trasversale rispetto alle fasce socioeconomiche, ovvero anche da parte di quelle fasce definite come "più deboli" che per età e scolarità non adoperano la rete. Cioè la tv è ancora uno strumento efficace per l'agenda setting. Ma non è certo più l'unico strumento.
La Rete ha oramai ruolo indiscutibile come fonte d'informazione e di formazione dell'opinione pubblica. Blog, wiki e forum contribuiscono a sviluppare un pensiero critico e collaborativo, e i social network, in qualità di aggregatori di persone, abilitano la diffusione virale di pensieri e informazioni. Ma la viralità è una brutta bestia, perché a differenza dei media tradizionali non è "capital intensive" (dove la quantità di persone raggiunte e proporzionale al capitale economico o politico disponibile) bensì "mind intensive" (ovvero dalla quantità di "menti" interconnesse che possiedono una qualche "affinità elettiva"). La propagazione virale di un messaggio è soggetta cioè al vaglio di ciascun "agente sociale", e da ciascuna di questi può essere generato. Mica sto dicendo nulla di nuovo ovviamente, ma ciò spiega come i politici non siano confortevoli con questo strumento, che il più delle volte non controllano (culturalmente) e che non possono controllare (nel senso di condizionare).
Se la rete toglierà un domani spazio alla televisione nell'agenda setting, ciò non dipenderà, imho, da un trasferimento della comunicazione da un sistema all'altro, bensì da un cambiamento nel modo in cui i cittadini approcceranno la politica: dalla passività dell'elettore della democrazia rappresentativa, alla sua contribuzione attiva nella democrazia partecipativa. E se questo cambiamento avverrà lo dovremo senz'altro alla Rete.
Speriam ben..
Da quel poco che ho potuto seguire (e subire) quest'ultima campagna elettorale, la comprensione delle dinamiche della rete da parte dei vari candidati è desolante.
Lascia perdere controllare e/o condizionare: in modo del tutto trasversale questi hanno a malapena idea che esista. Da qualunque parte, di qualunque età.
Poi magari a livello nazionale i partiti avranno qualche consulente, ma a livello locale (dove paradossalmente la comunicazione interattiva e partecipata avrebbe molto senso), almeno per ora non ci siamo proprio.
IMHO.
Scritto da: Paolovalde | mag 09, 2012 a 14:29