Mentre la tv tradizionale sta facendo i conti con la flessione di pubblico (e ricavi pubblicitari) alla quale è soggetta da qualche tempo a questa parte, intaccata com’è non solo dalla concorrenza ma anche dalle nuove attitudini del consumo mediale della cosiddetta Martini Generation (dal payoff “anytime, anyplace, anywhere” della famosa bevanda) ovvero delle generazioni cresciute in mezzo all’individualità del rapporto utente-contenuto, dove è l’utente e non l’emittente a scegliere cosa, dove e quando vedere un video, sembra che le offerte di IPTV proposte dagli operatori di telecomunicazioni stiano ricevendo una risposta tiepida dal mercato.
I numeri ad oggi sono piccoli: osservando cosa accade in Europa ci accorgiamo che i sottoscrittori di IPTV non superano nei casi migliori il 14% degli accessi a larga banda degli operatori, attestandosi in media al di sotto del 10%. Migliore il caso di FastWeb in Italia con una penetrazione attorno al 16%. In numeri assoluti parliamo di bacini d’utenza composti al massimo da qualche centinaio di migliaio di utenti per operatore. Troppo pochi per interessare gli inserzionisti pubblicitari, troppo pochi per recuperare i costi dell’acquisizione dei diritti di trasmissione per i contenuti di nicchia, quelli che costruiscono la coda (più media che lunga) dell’offerta, troppo pochi per stemperare i costi di comodato d’uso, supporto e manutenzione dei set-top-box che gli operatori devono fornire alla clientela affinchè aderisca alle offerte di IPTV. Ed i trend non sono confortanti: in media i sottoscrittori di IPTV crescono per l’operatore più lentamente degli abbonati di connettività.
Se i numeri sono piccoli ed i trend poco entusiasmanti, probabilmente i destinatari del servizio IPTV non gli riconoscono un valore supplementare rispetto alla televisione vie etere sufficiente a stimolarne la sottoscrizione. Cosa frena l’adesione in massa degli utenti ad un servizio che, nelle sue potenzialità, avrebbe tanto in più da offrire? E’ sufficiente confezionare l’offerta di contenuti con gli abituali canali lineari, aggiungere un po’ di materiale di magazzino, qualche contenuto premium, il tutto insaporito dalle funzionalità on-demand per smuovere la gran massa di possessori di televisori? O è necessario proporre cose nuove, dove nuove significa soprattutto non realizzabili in precedenza?
Così come con il pennello dipingerà un quadro e con lo scalpello estrarrà dal marmo un busto, l’artista produrrà risultati diversi per raffigurare un medesimo soggetto a seconda di che cosa tiene in mano. E come la mano dell’artista è guidata dallo strumento a disposizione, anche lo sviluppo di nuovi format televisivi e di nuovi servizi è condizionata dallo strumento tecnologico intermedio che c’è tra produttore ed utente.
Mezzo secolo di televisione, condizionata dall’unidirezionalità del sistema trasmissivo, ha affinato lo sviluppo di una programmazione pensata per uno spettatore completamente passivo, suddivisa in reti per distinguere le linea editoriali e distribuita su fasce orarie per centrare le caratteristiche socioanagrafiche del telespettatore. Ma già la (parziale) interattività introdotta in tempi recenti dall’impiego degli sms per ricevere le votazioni dei telespettatori (come le “nomination” dei reality) ha mostrato come sia efficacie far dipendere l’evoluzione del programma dal coinvolgimento del pubblico a casa, con risultati molto interessanti per gradimento e fidelizzazione. Immaginiamo cosa non si possa realizzare grazie all’estremo grado di interattività che le tecnologie IPTV consentono. Queste pur garantendo al mezzo televisivo il mantenimento della sua tipicità, mettono in grado gli autori i programmatori di palinsesti, gli ideatori delle campagne pubblicitarie, gli organizzatori di televendite, etc.. di sfruttare tutte le possibilità normalmente disponibili nel mondo Internet ma confezionandole in modo da essere familiari e gradite dall’intera odierna platea televisiva, e non solo gli utenti più tecnologici. L’IPTV rappresenta un formidabile strumento per consentire la crescita del sistema televisivo, oggi come oggi oramai plafonato nel suo sviluppo ed appiattito nell’offerta, sia per soddisfare al meglio le esigenze del pubblico tradizionale e per centrare le esigenze nelle nuove generazioni. La psicologia dell’interazione tra persone e contenuti televisivi è probabilmente una delle frontiere più interessanti da esplorare (e già la troviamo tra le competenze degli autori di quei prodotti di intrattenimento che sposano sceneggiatura ad interazione dello spettatore-attore, cioè i videogiochi), ed è critica per il successo delle proposte editoriali. Riguarda sia il confezionamento di contenuti, sia il modo con il quale l’utente interagisce con le funzionalità offerte dal sistema.
L’IPTV non solo semplice on-demand quindi. Ma l’industria televisiva per potersi dedicare allo sviluppo di nuovi format e nuovi servizi innovativi, ha bisogno di interfacciarsi tecnicamente in modo uniforme con tutti gli operatori di rete e di poter così raggiungere con dei servizi omogenei una platea televisiva la più estesa possibile. Ad oggi però l’IPTV è costituita da una molteplicità di piattaforme molto variegate fra loro per funzionalità e caratteristiche tecniche, in quanto nate ed impiegate per consentire agli operatori di telecomunicazione di svolgere un’attività di rivendita di contenuti multimediali rivolta esclusivamente alla propria clientela di banda larga. Bisognerà pertanto attendere che l’evoluzione tecnologica porti ad una standardizzazione della tecnologia prima di poter sederci in poltrona ed assistere al vero futuro della televisione.
[pubblicato sul ilSole24Ore / Nòva del 19 luglio 2007, pag. 1 e 2, con il titolo "Il Movimento dell'immagine, le trasformazioni della tv nell'era di internet"]
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